Employability: la condizione che serve per chi cerca lavoro

Nella ricerca del lavoro conta l’employability, un valore chiave per chi deve selezionare i talenti nondimeno per i manager. La vita lavorativa delle persone è diventata sempre più dinamica, così la carriera nelle posizioni apicali, come nelle altre posizioni lavorative, non segue più un tracciato definito. La rivoluzione tecnologica, che sta investendo l’intera società, ha inciso sull’impostazione tradizionale del lavoro. Questo vale per impiegati e manager, operai e dirigenti d’azienda.

Nello specifico quando si valuta il percorso lavorativo di un executive si osserva che esso comprende diverse fasi di passaggio, sia all’interno dell’azienda sia al di fuori. I manager, e questo concetto può essere esteso a tutti i lavoratori, devono farsi trovare pronti al cambiamento, non possono accontentarsi di una vita “sedentaria”, e per farsi trovare preparati occorre che lavorino sulla propria employability: quell’insieme di caratteristiche che ci permettono di essere adatti a nuovi contesti professionali. In Italiano il termine employability è tradotto come idoneità o spendibilità sul mercato. In realtà non si intende soltanto questo ma si intende la capacità di essere appetibili a ricoprire un certo ruolo. Questo conta, secondo Sumantra Ghoshal: per chi cerca un primo impiego, conta per chi è a metà della propria carriera e per chi deve ricollocarsi a seguito di un’interruzione più o meno volontaria della propria esperienza.

L’employability è appunto un lungo cammino che inizia prima dell’entrata nel mondo del lavoro. “Non lasciate che sia qualcun altro a definire la vostra strada, costruitevi un percorso, seguitelo, accettate la sfida dell’ignoto e rischiate” (Sergio Marchionne al Meeting di Rimini del 2014). Il nodo da capire è cosa rende ogni persona “employable”? Ascoltiamo quali sono i pilastri che reggono questo valore, spiegati da Sandro Sereni, head hunter partner e founder di Keystone. Alla base del personal branding ci sono sicuramente le competenze che provengono dalla formazione e dall’esperienza professionale ma ci sono anche e soprattutto le soft skills, che hanno un peso significativo nella valutazione della persona da selezionare per un nuovo lavoro. Basti pensare che nell’80% dei casi l’azienda inserisce un nuovo manager basando la propria decisione su una o più soft skill del candidato.

Le soft skills principali nella valutazione delle Risorse Umane, secondo i nostri clienti, sono:

A. la capacità di gestione di un team,
B. l’attitudine all’innovazione (digital mindset),
C. la leadership,
D. la capacità di gestire le relazioni,
E. l’equilibrio.

Se nell’immaginario del passato la crescita professionale avveniva in una logica verticale, attraverso ruoli e responsabilità crescenti, oggi la dinamica è orizzontale. Il manager “fa carriera” passando da ruoli equivalenti, anche a parità di trattamento economico, talvolta addirittura a un livello inferiore, non soltanto per le contrazioni del mercato, perché si desidera assegnare un ruolo a un candidato che abbia già ricoperto quella posizione: hai già avuto successo in questo ruolo? Ti assegno qualcosa di analogo. A questo si deve aggiungere l’esperienza internazionale, la diversificazione di business e mercati, e il reskilling.

Davanti a questo scenario esistono alcuni elementi già codificati che ostacolano la costruzione dell’employability individuale e di cui tenere conto per la costruzione del proprio profilo. Prima di tutto l’assestarsi in una posizione di comodo. Lo scrittore statunitense Neale Donald Walsch ha detto che la vita inizia alla fine della propria zona di comfort, ecco quest’area deve essere abbandonata a favore della propensione al rischio, a favore della predisposizione a imparare e ad accogliere i nuovi paradigmi tecnologici. Secondo, l’accontentarsi di stare in una gabbia dorata: (aver ottenuto sempre risultati scolastici eccellenti), partire da condizioni economiche privilegiate, l’essere all’interno di long term incentives plan, aver lavorato in aziende solide e in periodi fiorenti impigriscono le persone (abbassano l’employability). Terzo, gli errori e l’ostinazione nel perseguirli.

Nei nuovi percorsi di carriera, l’individuo e le sue esperienze sono posti al centro dell’attenzione. Invece di un avanzamento di carriera progressivo secondo un percorso basato sui compiti, le organizzazioni si stanno orientando verso un modello che consente alle persone di acquisire esperienze di valore, esplorare nuovi ruoli e reinventarsi continuamente (Global Human Capital Trends 2018, Deloitte 2018). In quella che può diventare un’altalena, piuttosto che un percorso lavorativo lineare, occorre essere pronti ad affrontare anche le situazioni critiche. Mettendo alla luce talenti espressi o inespressi che ci permetteranno di trovare soddisfazione nel lavoro. Facendo il bilancio delle competenze e definendo nuovi obiettivi. Ognuno dovrà ottenere la consapevolezza del proprio mercato di riferimento, analizzando e scegliendo i canali più adeguati per farsi conoscere e tra questi valutare l’head hunting, (le agenzie per il lavoro), la formula dell’outplacement, il proprio network di conoscenze, senza trascurare l’importanza dei social network, sempre più importanti per fare personal branding.